Periodico

Era, questa mostra, attesa da anni; e da anni ne durava, in effetti, la preparazione; soprattutto per quanto concerne il restauro delle opere. È, appunto, a chiusura d’un primo, vasto ciclo d’interventi conservativi che essa ha aperto le porte. Nella verifica del patrimonio pittorico della valle, oltre che confermare l’altezza di due dei tre protagonisti […]

Nonostante la lunga storia che gli sta alle spalle; nonostante, più prossime a noi, le straordinarie mostre milanesi dell’84 e dell’86, Bernard Damiano continua a restare un Carneade. Forse, più che continua, bisognerebbe scrivere che insiste, anzi, persiste, a rimaner tale. Quasi volesse pagare, con la solitudine in cui la cultura ufficiale e mostre-domina l’ha

Che il successo di vendite, non sia, in alcun modo, sinonimo di valore è lì, a dimostrarcelo, il tempo. Spesso, anzi, quasi sempre, i libri più attivi e rivoluzionari restano in coda alle tronfie, mercantili classifiche di cui i nostri quotidiani e i nostri settimanali beotamente si beano; come se fossero fonte di verità. Così,

Quale provinciale, qual mediocre o, addirittura, cattiva coscienza impedisce alla cultura italiana di prendere finalmente e seriamente atto delle vicende che, negli ultimi decenni, hanno riportato l’arte tedesca sulle barricate; dunque, sulle primissime linee del destino dell’immagine umana? È forse la paura che appaiano date e «precedenze», scomode per il celebrarsi dei miti nostrani? Ma,

Conosco pochi uomini di cultura dei nostri giorni che vivano il proprio livido e, insieme, glorioso destino, come Federico Zeri (n.d.r. Al museo Poldi Pezzoli di Milano si apre domani una mostra dedicata alla sua collezione privata); questo significa che pochi uomini di cultura sanno portare, e sopportare, come lui, i segni del nostro tempo

Quando si farà una «veridica» storia della pittura di questi anni, una storia non già per «flash» estemporanei e preventivati, bensì per lucida e appassionata conoscenza dei fatti, si vedrà come proprio fra Lombardia e Canton Ticino, sia venuta crescendo una sorta di «congrega», o «confraternita» di marca, anzi d’origine, per dir così, svizzera; forse,

Esiste da tempo, forse da quando il maestro operava, una sorta d’èlite culturale, un’élite acuta e, insieme, stremata, ammiccante al pubblico e, insieme, desiderosa di starsene, per sempre, a numero chiuso, infastidita, dunque, dalla popolarità che, negli ultimi tempi, l’oggetto della propria predilezione sembrava aver guadagnato; un’élite che ama Gustave Moreau (1826-1898) d’un amore insano

Anche questa volta, come già altre, a visita ultimata, appare alla mente, e appare nella lingua da lui tanto amata, l’imbarazzante domanda: à quoi bon? Per arrivar dove, insomma, tanta dovizia di pittura, di pittoricismo, di pitturetta e pitturessa? Per arrivar dove, tanto sciupio di ghirigori, svolazzi, affusolamenti, visi, visetti, bocche, boccucce, dita allungate come

Paul Rebeyrolle (classe 1926) non esponeva in Italia dal 1972; allora il presentatore ne era stato Franco Russoli, così sovente antesignano nelle indicazioni e nelle proposizioni. Aosta ha fatto perciò una sacrosanta, oltre che eloquentissima operazione di risarcimento nell’allestire questa mostra che, praticamente, lo ricorda ex novo al nostro immemore Paese. Credo, del resto, che

Affrontata e studiata con ogni cura, pensando altresì ai limiti delle pareti disponibili, la presente rassegna, Realismo magico, riesce a restituire «in toto» il clima, la tensione, insieme con la disturbante e un poco appassita distensione, o, ipotensione, che caratterizzarono, sull’aprirsi degli anni ‘20, il cosiddetto «ritorno all’ordine». Quanto, poi, in mostra non si vede